
EGG IDIOT: The Interview
Dopo averlo seguito per 3 live di seguito durante il suo tour italiano, Baby Lemonade ha deciso di intervistare l’idolo dell’egg punk tedesco, George a.k.a. EGG IDIOT.
Serena / Wilson / Cason
Luppolajo has been rocked once again. I CUT sono scesi dal palco da qualche minuto e il collo di Ferruccio è stretto da una salvietta azzurra che in quel momento somiglia più ad un salvagente antisudore.
Lo accompagniamo nella stanza delle meraviglie, in una foresta di fusti di birra che quasi abbagliano sotto le luci da laboratorio. Fuori la musica riattacca e tutti ballano. Pizze di Liquirizia, Wilson e Cason hanno un po’ di domande per FERRO, che sembra ancora scosso dai feedback della sua Telecaster massacrata per circa un’ora dallo psycho-blues-punk del trio che da Bologna ha depredato mezza Europa negli ultimi 25 anni. Ci guardiamo le scarpe, sono bianche di polvere sollevata dal pogo.
Super Stanzy: Domanda più importante di tutte – da questa dipende il resto dell’intervista. Twix o Mars?
F – Twix. In Scozia abbiamo provato il Mars fritto nel burro: lo scartano, lo avvolgono in una pastella di burro, poi lo friggono e te lo servono. Sai che così è più buono? Abbiamo un sacco di amici in Scozia che, siccome siamo italiani, per contrappasso ci fanno provare tutto il loro junk food. Ad esempio, hanno l’Irn Bru, una roba che dentro ha il ferro, un energy drink che assomiglia ad una soda molto dolce. Vende più della Coca Cola, e contiene un ingrediente segreto che non si può sapere. Lo bevono pure a colazione i bambini.
Qual è invece il pasto italiano peggiore che hai fatto all’estero?
F – Nel 2008 ci fermiamo a Lille, suoniamo a Le Yeti. Il nome dovrebbe dare l’idea di un posto grande, in realtà durante il concerto non si può andare in bagno perché il palco blocca la strada da quanto è piccolo il locale. Hanno una convenzione con un condominio di fianco che tu puoi usare un cesso in comune al primo piano mentre le band suonano. La figlia del proprietario apprende che siamo italiani e ci vuole fare la pasta a tutti i costi. Noi ovviamente le diciamo subito di non preoccuparsi, e che comunque anche in Francia c’è una buona cucina. Lei però insiste e si mette ai fornelli: acqua ancora fredda e pasta già dentro. Poi prende dal frigorifero una roba aperta che aveva già il marciume sul bordino, la versa sopra la pasta senza neanche mischiarla e la serve. Noi tra l’altro avevamo una fame mostruosa perché eravamo arrivati all’ultimo momento e non eravamo riusciti ad andare a mangiare. Non sapevamo come comportarci, è stata la cosa più terrificante che ci hanno servito.
Nella mia testa collego sempre i CUT al suonare in giro per l’Europa. Non ci sono tante altre band in Italia che hanno viaggiato così tanto all’estero, soprattutto raccogliendo i vostri consensi. Qual è il consiglio che daresti a chi suona per non scoppiare quando si macinano così tanti chilometri, dormendo ovunque e vivendo sulla strada?
F – Prima di tutto devi avere bene in testa perché fai quella roba. Se la fai perché ti aspetti di essere trattato in un certo modo solo perché suoni, allora puoi stare anche a casa. È normale che quando vai a suonare in Germania o in Francia senza promozione o distribuzione nessuno ti conosca, e che tu sia allo stesso livello di un gruppo di ragazzini che ha iniziato ieri. Quindi credo molto che in qualche modo tu le cose te le devi anche conquistare. Quando ero piccolo, l’unica cosa che volevo era riuscire ad avere un gruppo e fare la musica che piaceva a me, che era l’unico modo per poter comunicare con il mondo in un modo che mi facesse sentire vivo, non una merda.
Io ho 50 anni, in Italia negli anni ’80 era il mondo dei Paninari – era tutto bello, ma se vivevi in provincia eri morto. Sono cresciuto in un paesino dell’Abruzzo, a Giulianova, nell’isolamento più totale. Ero talmente sfigato che nell’86-87, invece che uscire con le ragazze e i miei amici, facevo un programma radio, su Radio Azzurra, di sabato sera. Perché mi rompevo le palle. Questo per dire che, nel momento in cui ho una band che mi piace, ho persino un posto che mi invita a suonare e della gente che vuole sentire quello che faccio, io sono arrivato. Non ho altre finalità se non comunicare attraverso la musica, perché è l’unica cosa che mi fa sentire bene. Fare dei dischi che un giorno mi faranno pensare che comunque un segno alle mie spalle l’ho lasciato, una traccia di quello che sono.
Questo mi ha portato a poter comunicare con delle persone dall’altra parte del mondo che si riconoscono in quello che faccio così come io mi riconoscevo nei dischi degli Hüsker Dü, Dinosaur Jr quando avevo 16 anni.
Quella comunicazione lì è per me il fine ultimo, tutto quello che c’è in mezzo è necessario per arrivare a quel momento. Se quei 45 minuti di concerto non ti ripagano di tutto, allora è meglio che stai a casa. Ripeto che ho 50 anni, dovrei stare a casa a guardare Netflix? Almeno esco, faccio le prove, vado in giro per l’Italia. Conoscere delle persone come voi questa sera è la forma di comunicazione più vera che io riesca ad avere con il mondo. E poi c’è un’altra cosa importante: quando fai un concerto, mai essere presi male. Anche se c’è una persona a vederti, non sai mai cosa potrebbe significare per quella persona ciò che stai facendo sul palco. Quando ho visto i Gun Club c’erano quattro miei amici e me, e fecero un concerto bestiale. Sono stato cambiato da queste persone. Anche in quelle sere di merda dove sembra che ci sia un cane e un ubriacone che ti segue, non si sa mai chi potrebbe esserci in fondo alla sala, magari qualcuno per cui quel concerto è la cosa più bella che abbia visto in vita sua. Ti giuro che succede.
Super Stanzy: Prima hai parlato del periodo “nerd” a Giulianova negli anni ’80. Avevi già qualche progetto musicale al tempo? Come hai iniziato a suonare?
Io devo tutto ad un amico di Berlino che veniva al mare con la scuola a Giulianova. Un giorno un mio amico mi dice cha ha conosciuto uno uguale a me, ma tedesco. Mi dice che lo devo assolutamente conoscere e organizza questo appuntamento stile Tinder tra me e questo tipo. Lui è più grande di me e più bravo con la chitarra, e mi dice di fargli sentire qualcosa di mio, ma mi vergogno come un cane. Quando poi riesce a convincermi, mi sorprende dicendo che le canzoni gli piacevano molto, e che dovevamo registrarle. Aveva un quattro tracce a cassetta, e con le sue chitarre elettriche sopra il materiale che registriamo diventa una sorta di demo. Lo mandiamo ad un po’ di giornali e la recensione esce addirittura su Rockerilla, la mia Bibbia. Non ci potevo credere. A lui devo tutto, se non ci fosse stata questa sua sveglia io sarei ancora a casa a cagarmi addosso. Poi mi sposto a Bologna per l’Università e la città era vibrante, la gente ti dava le locandine dei concerti ogni giorno mentre passeggiavi in via Zamboni. Era il ’91…
Super Stanzy: E che esperienze ti tieni stretto di quel periodo?
Be, ricordo un live incredibile NOFX con Offspring in apertura al Pellerossa, mettevano i cuscini sulle colonne del posto per evitare che la gente si uccidesse nel pogo. Poi Fugazi tante volte, e Jon Spencer Blues Explosion. Li vidi a Londra, e probabilmente fu il live che più mi ha cambiato. Ma anche suonare con i CUT insieme a tante band incredibili mi ha insegnato tanto. I Make-Up ci firmarono le nostre copie personali dei loro dischi ringraziandoci per aver suonato con loro, con un’umiltà e tranquillità incredibili. Valorizzare te piuttosto che celebrare loro – l’approccio secondo me è questo. È una cosa che ho rivisto anche con gli Stooges, noi eravamo una band che doveva dividere il palco con loro. Eravamo a Villafranca, Verona, e Jason Williamson dopo il soundcheck mi tolse l’ampli per far spazio al mio. Oltre all’onore e al piacere di aver suonato con loro, ci insegnarono come si fanno le cose.
Un’altra esperienza bellissima di questo tipo fu con i Sonic Youth. Dicono “non conoscere mai i tuoi idoli” – io penso di essermeli scelti bene i miei. Loro dovevano andare da Bologna a Roma, serviva un driver e lo feci io: li accompagnai per tutto il giorno, avevano anche la figlia molto piccola con loro. Mentre parcheggiavo, gli altri stavano andando al ristorante e Thurston Moore era rimasto con la bambina seduto accanto a me. Allora gli dico “Thurston, tutto ok? Non vai con gli altri?” e lui “Aspetto te!”. È gente che comunque ha fatto la vita che facciamo noi, non se l’è dimenticata.
Hai scritto un libro sul concerto dei Clash a Bologna nel 1980. Qual è stata l’impronta più evidente che quell’evento ha lasciato sul tessuto culturale della città? Secondo te è giustificabile la contestazione anarchica che si verificò in quei giorni?
Dunque, l’impatto di quell’evento è stato pazzesco, hanno fatto un concerto clamoroso e Topper Headon stesso ha affermato che quello fu il secondo loro miglior concerto. Quel giorno poi si sono riuniti tutti i punk d’Italia, ed è stato il momento in cui è nata la scena hardcore da tutta la contestazione, dando vita a quella rete che poi negli anni ’80 è stata quella dei centri sociali. È stato molto importante anche per Bologna come città: il Partito Comunista in origine non era proprio a favore del rock, una roba americana.
È stato un concerto che ha sdoganato il punk verso la sinistra, perché loro stessi erano di sinistra, si dichiaravano antirazzisti e antifascisti.
All’inizio c’era un po’ di paura, si pensava che il punk fosse nichilista, tendente a destra. Io ho una mia idea su questo: il punk in Italia è stato anche un modo per uscire dagli anni ’70. Giocare con i simboli delle ideologie in un momento in cui se sbagliavi scarpe o quartiere rischiavi di non tornare a casa era anche un modo per dire “basta” alla gioventù che si ammazza a livello intestino per le ideologie, al terrorismo, alle accoltellate nelle scuole. C’era un desiderio di superare un momento di polarizzazione che veniva di fatto utilizzato dall’alto per non cambiare mai lo stato delle cose. Per quanto riguarda la contestazione, c’è da dire che gli anarchici contestarono molto il Comune prima di tutto. Quel concerto veniva visto come una mossa politica in vista delle elezioni. Sicuramente è stata una mossa furba, in una città dove c’era già una forte scena punk/post-punk.
Ma diciamocelo francamente: meglio una mossa furba così che le manganellate che adesso prendono i ragazzi appena occupano un posto. I ragazzi che hanno contestato erano anni che chiedevano al comune soldi per le loro sale prove ed eventi, e vedevano come un atto ipocrita lo spendere così tanto per i Clash. Avevano sicuramente le loro ragioni, ma prendersela con i Clash… Se io non avessi trovato nel mio negozietto di Giulianova i loro dischi, probabilmente non avrei scoperto nemmeno la musica di quelli che li contestavano quel giorno.
Per concludere, vorrei sapere il titolo di un disco che ogni volta che lo metti su è come se ti abbracciasse, che ti fa sentire a casa.
Warehouse: Songs and Stories degli Hüsker Dü. Nelle note di copertina c’era scritto: “La rivoluzione inizia ogni giorno, quando ti metti davanti allo specchio di casa”.
Dopo averlo seguito per 3 live di seguito durante il suo tour italiano, Baby Lemonade ha deciso di intervistare l’idolo dell’egg punk tedesco, George a.k.a. EGG IDIOT.
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