
EGG IDIOT: The Interview
Dopo averlo seguito per 3 live di seguito durante il suo tour italiano, Baby Lemonade ha deciso di intervistare l’idolo dell’egg punk tedesco, George a.k.a. EGG IDIOT.
by Nicola Burri
“Sono 6 ore che sto ascoltando musica, non ho più l’età (forse invece ho finalmente l’età per capire quando le cose devono finire)”
Avete presente quei momenti in cui vi dite: ‘Basta, mollo tutto e me ne vado’? Ecco, a Nicola è capitata più o meno la stessa cosa, ma, a differenza di tanti quaquaraqua, l’ha fatto davvero. No, non per la vita, ma con la scusa di conoscere un’acquirente del nuovo disco della sua band (aka, i Kick, che vi consiglio caldamente di ascoltare) ha fatto la valigia in quattro e quattr’otto e ha girovagato in lungo e in largo il paese del Sol Levante, dove ha fatto incontri insoliti e un pieno di cultura underground. Ci ha scritto per sapere se potevamo essere interessati a pubblicare un reportage scritto di suo pugno; non potevamo che dirgli di sì. Ringraziamo per il supporto anche l’amica Letizia, fedelissima di Super Stanzy, che ha accolto Nico in Giappone.. senza nemmeno mai averlo visto prima.
野郎ども、読んでて幸せだ!
Susiskunk
Foto di Nicola Burri
Malpensa-Tokyo: 24 ore di viaggio, 4 pasti in plastica serviti da hostess con chinnon d’ordinanza e il considerare normale pagare 8 euro per una stupida bottiglia di Evian ad Abu Dhabi.
A Tokyo mi aspetta Letizia, io non la conosco ma abbiamo amici in comune e ci siamo scambiati qualche messaggio prima della mia partenza, lei mi dice che è stata ad un un paio di concerti della mia band quando era in Italia, io percepisco da subito che è una bella persona che non indugia sulle formalità. Va tutto come da manuale, la incontro davanti ad un negozio di Idol Magazine in zona Shinjuku e dopo un abbraccio siamo amici nel modo più naturale possibile; ci raggiunge Martina e usciamo a bere del whisky & soda in lattina e dopo due ore siamo sciolti a ballare al Dragon Man, locale libertino e colorato del quartiere gay della città.
La mattina seguente dormo ad oltranza, il jet lag si fa ancora sentire ma sono d’accordo con Kento che sarei andato a sentire il concerto da lui organizzato a Tokyo sud (indicazione un po’ generica per una città di 14 milioni di abitanti).
Faccio un passo indietro: quattro mesi prima di partire noto che un piccolo negozio di dischi di Tokyo ha ordinato alcune copie del disco della mia band dalla nostra label berlinese, colgo l’occasione e ne contatto il proprietario che, dopo un breve scambio di messaggi, mi invita alla serata in questione.
Arriviamo (io e Letizia) al quartiere di Shimokitazawa, l’aria è rilassata, si beve birra e si mangiano piccoli piatti giapponesi, l’80% della fauna è composta da musicisti, appassionati, perditempo, avventori di negozi dell’usato e fumatori incalliti di Lucky Strike Rosse. Fatichiamo a trovare il locale ma dopo una decina di minuti capiamo di dover scendere al piano interrato e, fatti pochi gradini, ci ritroviamo all’interno di questo posto minuscolo già gremito di gente in attesa dell’inizio dello show.
Intravedo Kento, ci presentiamo, qualche parola di circostanza e ci porta subito a bere una birra: mi sembra un buon modo per conoscerci meglio. Nel frattempo ci presenta Emily (nome di finzione, ho un problema col ricordare i nomi), una ragazza alta e cool con una chioma rosso-viola acceso che avrebbe potuto soffiare il posto a “Lola corre” se solo fosse nata 8000 kilometri più a ovest; “wow siete europei” ci dice, noi confermiamo e iniziamo una piacevole conversazione.
Le Hyper Gal (all’anagrafe Koharu Ishida e Kurumi Kadoya) salgono sul palco, sono due ragazze timide e per bene, ma dopo il primo pezzo capisco che dietro a quell’aspetto rassicurante c’è dell’altro: melodie ripetute allo sfinimento filtrate attraverso elettronica arrugginita e distortissima e beat compulsivi, mi ricordano una Grimes anfetaminica prodotta da Merzbow.
Hyper Gal – foto di Nicola Burri
Finito il loro show parte una band educata, una copia imborghesita di Artic Monkeys e indie rocker vari, sono allergico a queste cose, passo oltre e cerco di intercettare le due Hyper Gal.
Dopo alcune incomprensioni date dal loro inglese mal masticato riesco ad abbozzare un’intervista: mi raccontano delle loro influenze in bilico tra harsh noise e pop ipermainstream e del loro randomico metodo di composizione, sono molto disponibili e gentili ma io decido comunque di sfinirle con un pippone sui Cabaret Voltaire e Throbbing Gristle, che dovrebbero assolutamente ascoltare; terminiamo, baci & abbracci e foto di rito. “Ci vediamo a Osaka” mi dicono. A Osaka ci passerò 7 giorni dopo ma incontrerò soltanto qualche inglese sempre troppo ubriaco e una giovane madrilena con la passione per l’highball.
Mi congedo con Kento chiedendo dritte per Kyoto, lui mi consiglia di andare il sabato successivo in questo posto chiamato Metro Club, dato che ci sarebbe stata la terza edizione del Nightclubbing Festival. Saluto Letizia abbracciandola forte e promettendoci che ci saremmo rivisti in Italia (cosa che poi sarebbe successa).
Prima di arrivare a Kyoto faccio tappa a Kanazawa, un piccola cittadina a nord ovest della capitale, per una breve visita al museo cittadino e una notte ospitato da Monserrat, una dolcissima ragazza messicana che vive in Giappone da alcuni anni per portare avanti una ricerca su alcune nuove cure per il diabete.
Arriva sabato e io mi catapulto al festival, l’ingresso è facilmente raggiungibile dalla metro e in pochissimo sono dentro. Percepisco che i musicisti sono parte di una scene consolidata, tutti molto collegati e intimi fra di loro, io potenzialmente sarò l‘unico occidentale della serata: mi piace. Al festival non ci sono andato da solo, ma con Miho; conosciuta su un’app d’incontri, il suo terzo messaggio è stato “I also really love Connan Mockasin”, ho pensato quindi potesse essere una buona compagnia.
Il tempo di prendere un vodka tonic e un succo all’ananas per lei e la prima band, i Betty & The Slacks, inizia a sferrragliare del rumoroso punk 77: la cantante è una biondina che a 15 anni mi avrebbe fatto uscire di testa, il chitarrista e il bassista sono stilosissimi e super magri, gli Amyl and the Sniffers dovrebbero essere felici di averli in apertura ad un loro show a Melbourne.
Betty and The Slacks – foto di Nicola Burri
L’alcool inizia a scorrere, gli animali si scaldano e sul palco salgono i Tive, balaclava in testa e rabbia hardcore nello stomaco, il cantante attacca a cantare sicuro di sé e con uno scream sostenuto fa esplodere la folla in una danza politicamente scorretta dove mani e gambe stanno troppo alte per il classico pogo dove “nessuno si deve fare del male”.
Tive – foto di Nicola Burri
Necessito di una boccata d’aria ed esco, il palco nel frattempo vede gli ens all’opera: non mi convincono troppo, troppo Incubus, troppa voglia di piacere alla madre della ragazza che alla fine si metterà col ragazzo stronzo.
ens – foto di Nicola Burri
Nel frattempo chiacchiero con Miho (ci siamo detti poco dato i volumi assordanti del locale), lei è poco chiara e non mi racconta molto di sé, in verità non mi racconta proprio nulla, se non che ha avuto un passato “movimentato” e che è meglio ch’io non sappia il suo cognome: ho incontrato una introversa irrimediabile oppure una nipote della yakuza? Questo dubbio rimarrà con me durante tutto il resto del viaggio.
Rientriamo, prendo un gin tonic, lei un altro succo all’ananas e attaccano gli F.P, band d’ispirazione nu metal che fa piazza pulita dei sentimentalismi precedenti, breakdown torci budella e headbanging che non danno sintomi di stanchezza.
Senza soluzione di continuità i nostri vengono ricambiati dai No Fun: pazzi totali, non capisco dove vogliano andare a parare data la formazione eterogenea di 8 elementi (piano, chitarra, batteria, voce, violino, percussioni industriali, basso e flauto traverso), ma dopo 30 minuti di show il cantante è in preda a uno sclero sciamanico e prende a testate un contenitore di latta che deforma letteralmente dopo alcuni colpi: mi piace.
F.P. – foto di Nicola Burri
No Fun – foto di Nicola Burri
Finisce tutto in un bagno di sudore, il pubblico è felice, la band è esausta, è stato un meritato win-win. DJ CeeeSTee riporta la coolness nel locale spinnando tracce house-rave senza tempo per una quarantina di minuti.
DJ CeeeSTee – foto di Nicola Burri
Si riparte con i MELTME, una band di bei ragazzi e ragazze che propongono del pop punk che inizialmente percepisco come orecchiabile ma che, in breve tempo, mi suona come stucchevole, decido quindi che è l’ora di levare le ancore.
MELTME – foto di Nicola Burri
Sono 6 ore che sto ascoltando musica, non ho più l’età (forse invece ho finalmente l’età per capire quando le cose devono finire) e davanti a me ho ancora 2000 kilometri di ferrovie giapponesi JR e 15 giorni in solitaria nel paese del Sol Levante.
Dopo averlo seguito per 3 live di seguito durante il suo tour italiano, Baby Lemonade ha deciso di intervistare l’idolo dell’egg punk tedesco, George a.k.a. EGG IDIOT.
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Baby Lemonade