
LETTERA DAL GIAPPONE
Avete presente quei momenti in cui vi dite: ‘Basta, mollo tutto e me ne vado’? Ecco, a Nicola è capitata più o meno la stessa cosa, ma, a differenza di tanti quaquaraqua, l’ha fatto davvero.
Premessa: è il 6 maggio 2017 e ci troviamo a Castel Goffredo in provincia di Mantova. Dopo la prima grande edizione (vedi Storie di Waht We Do Is Kebab vol.1 se non l’hai ancora fatto) abbiamo deciso di riporvarci. Organizzammo questa mattata che abbiamo chiamato Kit Kat Festival Sponsored by Twix, una tre giorni di concerti in tre location particolari sempre a Castel Goffredo. Dopo il successo della prima serata in questo fantomatico posto ribatezzato “Ponte delle assi” ci prepariamo al Kebabello. Questa volta convincere Ahmed è stato fin troppo facile visto gli incassi della prima edizione. Ma è proprio quando tutti hanno abbassato la guardia che finiamo nei guai. Dopo i live selvaggi di Freez e Freeburgers, proprio mentre siamo ancora in preda all’euforia, fanno capolino i carramba a tirarci le orecchie. Ahmed prenderà una multa con cui smezzeremo le spese grazie ai soldi raccolti della prima delle tante feste sul fiume (WWDIS CHIESE).
Michi (FREEZ)
Teoricamente era la nostra seconda volta che suonavamo ad un evento a Castel Goffredo; ci aveva scritto Wilson dicendoci che ci sarebbe stato un concerto dentro un Kebbabaro e ci sembrava un’idea geniale. Effettivamente il live fu estremamente divertente. Ho visto i proprietari del “locale” fare stage diving mentre suonavamo e poi vabbè sono arrivati i cavalli a chiudere la serata, che tristezza. Ricordo che eravamo tutti preoccupati per i proprietari. Nemmeno in America organizzano concerti in una venue così. Il giorno dopo abbiamo passato l’intera mattina da Mc Donald’s dopo che mi avevano cancellato il treno così abbiamo filmato una session di una canzone dentro al bagno per farcela passare. Ah, tra parentesi, ero sicuro che qualcuno prima o poi avrebbe scritto qualcosa in merito a quell’evento epico!
Greg (Auroro Borealo/ Greg Dallavoce)
La prima cosa che ho pensato quel pomeriggio quando decisi che sarei andato alla festa dei boys fu: ma ti pare che per sentirmi parte di qualcosa di rock n roll devo arrivare fino al buco del culo della provincia di Mantova? Possibile che in città non ci sia più una situazione in cui sentirsi selvaggi per una o più notti, un posto che non si sia fatto fregare dalle serate revival o dai karaoke indie al cazzo? La risposta fu ed è tutt’ora: no, non ce l’abbiamo una cosa del genere quindi sì devi arrivare fino a là. Castel Goffredo, paesino disperso nella nebbia della bassa che io avevo sentito nominare soltanto dal mio professore della scuola di moda, decantata come la patria del calzino, aveva una chance per dimostrarmi che oltre ai calzini c’ha di più. Bon si fa sera e parto, se non ricordo male con Johnny che mi stocca un passaggio (sono di strada) e dopo tot arrivo. Quando arriviamo alla VENUE la situazione sembra quella della classica festina di compleanno, solo che al posto dell’odore di stanze chiuse dell’oratorio l’aria sa di cipolla e salsa yogurt. Le luci sono ancora completamente accese e i boys sono intenti a far funzionare la faccenda, più che i boys Pagi. Sta di fatto che, nell’arco di poco, il kebab si riempie di gente della zona e noto come lo stile in senso di posa non sia contemplato, poche giacche di pelle e comunque portate con cognizione di causa, no cazzate ornamentali, solo un bel gruppo di persone esteticamente eterogeneo che si riunisce per divertirsi, cosa che mi fa prendere bene. Nel frattempo qualcuno si avvicina a noi di sua sponte e ci racconta che Castel, oltre al calzino, c’ha il tortello alle erbe amare, sono gasato, inebriato. Tempo di bere una cosa si spengono le luci e ONE TWO THREE FOUR cominciano le band e quella che dall’illuminazione sembrava la festina del tuo compagno di catechismo diventa un rock n roll party indiavolato doppia salsa piccante. Le canzoni di tutti corrono via veloci e anche se non conosco le band ci empatizzo, mi diverto di brutto. La cosa più bella è vedere che tutti sollevano tutti da terra a turno, è tutto uno stage diving senza stage, un fiume di fiducia impossibile da imbrigliare che arriva, quando meno me lo aspetto, anche da me. Non mi era mai capitato che un gruppo di sconosciuti mi sollevasse da terra e mi sostenesse mentre mi dimeno nell’estasi della musica e quindi fuck off, me lo godo, me lo tengo stretto quel bel momento di libertà.
Il finale della serata è il classico all’italiana: sbirri, bestemmioni e giù la serranda, parlarne mi fa pensare di fargli il favore di ricordarli e la cosa non mi fa piacere.
Noah (Freeburgers/Leopardo)
Okay okay, era maggio o giugno del 2017, chi se lo ricorda… se ancora oggi non riesco a ricordare il compleanno di mia madre, figurati ricordare la data di un concerto dove mi son ridotto a bere bottiglie di limoncello, dopo essere stati accusati dal proprietario di avergli finito lo stock di Sagres per la settimana. Specialmente con Freeburgers (essendo la nostra prima band) e facendo overdose di Black Lips in quel periodo, l’obiettivo non era fare un bel concerto, ma prendersi di quelle tegole che manco una ditta di carpentieri. Comunque, venimmo invitati dai Bea Bea Sea a fare un concerto e per noi, che avevamo appena cominciato ad uscire dalla Svizzera, era un’occasione imperdibile. Tutto esaltante, insomma, finché Wilson non ci comunicò che avremmo suonato sul retro di un kebabbaro. Non nascondo che all’inizio ci sembrava uno scherzo e rimanemmo un po’ dubbiosi sul fatto di accettare. Ma Damiano e Pagi ci assicuravamo che quella pazzia sarebbe stata epica e alla fine dopo esserci accertati del buon vecchio deal “alcol gratis”, lo spirito “Black Lips in Tijuana” ebbe la meglio, facendoci accettare l’offerta senza ulteriori indugi.
Solo il nostro tour manager (che non avevamo) sapeva dove ci saremmo persi quel giorno.
Ma di certo un kebabbaro tra le campagne e le zone industriali abbandonate della provincia di Mantova o Brescia (non abbiamo ancora capito dove sia Castel Goffredo), sarebbe stato difficile trovarlo. Lo stesso Google Maps probabilmente non sa localizzare il Kebabbello di Castel Goffredo e figurati se le indicazioni di Wilson ti possono aiutare.
Alla fine Wilson venne a recuperarci e nell’attesa la curiosità di suonare questo concerto diventava grande come le latte da un litro di Faxe.
Arrivammo finalmente a destinazione e quello che vedemmo, signore e signori, fu effettivamente un kebabbaro. Entrammo e, passando nel corridoio tra frighi delle bevande e bancone, ci ritrovammo in uno stanzino di pochi metri quadrati con dei tavoli e un paio di famiglie che mangiavano. Posammo le cose tra i tavoli e la situazione ci sembrava bizzarra, ma continuavamo a dare fiducia alle parole di Wilson e Pagi.
In quel momento si avvicinò Dio, ovvero colui che ai concerti ti accoglie con la prima cassa da 24, che in questo caso era il proprietario del locale. Lo ringraziammo a dovere e ci presentammo, un uomo di poche parole, ci chiese di non suonare a volume troppo alto… ma sapete già tutti come va a finire. Ahmed fece sgombrare i tavoli e cominciammo ad installare le nostre cose. Bene, il locale era ora per metà palco. Da lì si ricorda poco. Da quel momento cominciammo a bere e a stonarci come se non ci fosse un domani. Rifiutammo il kebab per paura di asciugare. Non mangiavamo mai prima dei concerti o si sboccava o eravamo già troppo pieni di liquidi. Rifiutammo pure di fare soundcheck, dopo la richiesta del proprietario non volevamo preoccuparlo prima del dovuto. Il concerto dei Freez che aprivano la serata e che era la prima volta che sentivo, avevano già fatto un delirio e finalmente ero gasato di suonare con una band che spaccasse i culi al posto che i coglioni. Cominciammo il nostro concerto in ritardo perché mi stavo spalmando sul marciapiede con un nuovo amico, un signore pakistano al quale mi ero convinto di fargli fumare una canna. Parlando di discriminazione, politiche d’integrazione e blabla sociale che non sto qua a raccontarvi, mi ero fatto un amico e non mi lasciava più andare. Il concerto iniziò ed il nostro batterista fece “stage-diving” alla terza canzone, il batterista… fate voi. Era un macello, non si respirava in quei 6.66 metri quadrati e a terra vedevo più vetri che ginocchia.
Se la sala mi sembrava già piena all’inizio, verso metà concerto mi auguravo che gli agenti di pattuglia fossero tutti a mangiare kebab al Kebabbrutto. In quel momento scorsi il mio nuovo amico, lui lo notò e non perse tempo a venire da me nel mezzo di una canzone a dirmi che aveva portato degli amici e notai che il pubblico si era diversificato ed era diventato un bellissimo mix multietnico tra poghi e balli tradizionali medio-orientali, totalmente fuori contesto ma incredibilmente bello ed autentico, non riuscii a fare altro che buttarmi nella folla e ballare con loro. Verso fine concerto il gruppo di pakistani prese il possesso della regia e attaccando un cellulare le nostre ultime canzoni furono un mix tra garage-punk e musica araba, un delirio che non vi dico. La serata finii ed io ero di nuovo spalmato a terra, giusto per finire come avevo cominciato. Purtroppo gli sbirri che speravo al Kebabbrutto, erano al Kebabbello già da un po’ e malgrado la bagarre creata tra noi organizzatori e pubblico a sostegno del Kebabbello, non impedì di multare il proprietario del locale diffidandolo da non fare più concerti. Penso che quello fu l’ultimo dei concerti “What We Do Is Kebabbello”.
Che dire, Wilson e Pagi avevano ragione.
Pagi (BBS)
Maggio 2017, week-end del Kit Kat festival, una tre giorni di concerti itineranti per Castel Goffredo per quello che sarebbe stato un primo tentativo di festival da parte di Super Stanzy, una versione primordiale e selvaggia del Metapalooza. La prima sera va alla grande. Concertini in una parte remota della pista ciclabile in zona industriale, detta Ponte delle Assi, anche se di ponti non ce ne sono e di assi nemmeno (forse c’è un falegname li vicino). Il palco non esiste, ci pensano un salice e dei tappeti a creare la giusta atmosfera. Eirinn, Bad Dinosaur, Yonic South, Horrible Snack e Damianals spaccano tutti i culi, la è gente presa bene, le birrette non sono mai abbastanza e il pogo non fa finire nessuno nel fosso, BRAVI TUTTI!
Il giorno dopo si va a recuperare le ultime cose abbandonate alla ciclabile la sera prima e a pulire dall’immondizia… abbiamo raccolto forse 4 lattine, BRAVI TUTTI ANCORA!
E’ già sabato e la seconda serata prevede un programmino gustoso, piccante oserei dire: Freez + Freeburgers live dal kebabbaro. Arriviamo dal Kebabbello carichi a mille pronti per un’altra “festa di compleanno” come solo noi sappiamo fare. Non ci deve spiegare niente nessuno, l’avevamo già fatto, il metodo era collaudato, era insito nel nostro DNA. 3-2-1 VIA! In men che non si dica il copione si ripete: live super, gente che vola, frigo di birre che si svuota ogni mezzora, kebabbari lanciati che pogano, ballano e fanno crowdsurfing, tutto mooooolto bello come direbbe qualcuno. Siamo alle battute finali, i concerti sono conclusi e bisogna smontare tutta l’attrezzatura, ma l’euforia di aver fatto qualcosa di epico (un’altra volta) quella non la puoi placare, quella non la puoi sopprimere, quella devi farla uscire, mostrarla al mondo, gridarla… in che modo? facendo ovviamente dei cori da stadio: KEBABBELLO! KEBABBELLO! EH! EH! KEBABBELLO! KEBABBELLO! EH! EH!
Le lacrime di gioia gusto salsa piccante colavano sui nostri visi ingari che da un momento all’altro qualcosa sarebbe andato storto, qualcosa ci avrebbe tolto il sorriso, qualcuno avrebbe interrotto il festival… gli sbirri! A quanto pare i carabinieri erano stati chiamati da qualcuno, ma non a causa nostra, bensì perchè c’era una ubriaco molesto (che non aveva a che fare con noi) nel bar di fronte… La Casa Del Giovane (il bar della parrocchia ndr). Dopo aver riportato l’ordine in casa del giovane questi devono essersi domandati del perchè ci fossero 50 persone fuori dal kebabbaro a mezzanotte passata e dei cori che echeggiavano (KEBABBELLO KEBABBELLO EH! EH!). Una volta entrati hanno trovato una situazione paradossale tra kebabbari sudati, strumenti ovunque, cori da stadio, bottiglie di birra per terra e gente che mangiava l’ultimo panino per asciugare, qualcuno ha persino provato ad offrirgliene uno, ma… niente da fare l’arma non si è fatta corrompere e al grido di “chi sono gli organizzatori di questa cosa?” la crew di Super Stanzy non si è intimidita, mano alzata, passo avanti e fuori i documenti.
I carabinieri iniziano con la consueta registrazione dei dati di tutti i resposabili ed improvvisamente è il mio turno consegno la carta d’identità al carabiniere e questa è più o meno la scenetta:
– “Giacomo Parisio?”
– “Si”
– “Lo stesso Giacomo Parisio del Ponte Delle Assi? ieri sera?”
– “No”
– “…”
– “……….”
Ma questa non è stata l’unica scena divertente del controllo documenti:
– “tu di dove sei?”
– “Parma”
– “tu?”
– “Brescia”
– “tu?”
– “Vicenza”
– “ma si può sapere che cazzo sta succedendo? che cazzo ci fate tutti qua??? e tu! tu di dove sei?”
– “Lugano, Svizzera”
– “……………..”
La domenica il festival si sarebbe dovuto concludere con Bee Bee Sea + The Shivas, da Portland agli Stanzini. Inutile dire che fu tutto annullato con grande delusione da parte di tutti e soprattutto da parte degli Shivas che alla fine ripiegammo in un concertino molto tranquillo in un paese vicino.
Maggio 2020, ci sono due cose che ancora non ho capito:
– perchè fra tutti gli oganizzatori i carabinieri hanno associato solo il mio nome al Ponte Delle Assi senza dire nulla agli arti?
– ma soprattutto, perchè si chiama Ponte Delle Assi? Dove cazzo sono ste assi??
E alla domanda dove sono le assi ha voluto rispondere Damio dei Damianals che avrebbe dovuto invece scrivere la premessa di questo articolo:
“Doveva essere la parte introduttiva, ma voglio cominciare da dove si è fermato il Pagi: perché si chiama Ponte della Assi? Dove cazzo sono ‘ste assi?
Cercando una risposta a questa domanda intrigante, mi sono imbattuto in un libro (“Nero Veneziano” di Guerrino Ermacora) che riporta un episodio accaduto durante il tragitto di Goffredo di Villehardouin verso Venezia all’epoca della quarta crociata. Non ho idea se questo sia un fatto storico o immaginato, ma costruiamo una leggenda sulla domanda del Pagi. Riporto il passo citato: “Erano diretti a Venezia, muniti di lettere e credenziali dei grandi signori che avevano preso la croce. La compagnia comprendeva ventiquattro uomini a cavallo, otto cavalli robusti per i carri leggeri, adatti ad essere trasformati in slitte sulle strade innevate, e sei cavalli di riserva. Ogni signore aveva portato con sé uno scrivano. Guido Thessy fu il prescelto del signore Goffredo di Villehardouin per la robustezza fisica. La scelta risultò felice, perché gli scrivani degli altri signori erano uomini di chiesa, non abituati alla fatica, alle giornate trascorse a cavallo, al freddo e agli strapazzi. Due monaci morirono durante la traversata delle Alpi innevate, altri due furono lasciati in altrettanti monasteri, infermi e malandati, uno annegò in un affluente del Po a causa della rottura improvvisa delle assi di un ponte di legno.”
Proprio così: Goffredo è l’unico che salva il suo scrivano sul ponte delle assi! Ma resterete delusi dal fatto che quello che sappiamo quasi per certo è che il Goffredo di Castel Goffredo non è quello di Villehardouin. Più probabilmente, ma senza certezze, Goffredo di Canossa o Goffredo di Buglione, che risalgono invece ai tempi della Prima Crociata.
Tuttavia non è finita qui, perché nel tentativo di costruire una storia incredibile, come quelle dei complottisti, mi sono anche imbattuto in un sito (italia.indettaglio.it) che ci regala questi splendidi dati sulla “località Ponte delle Assi” dove il Pagi assi non vede.
“La frazione o località di Ponte delle Assi sorge a 47 metri sul livello del mare.”
“Nella frazione o località di Ponte delle Assi risiedono quattordici abitanti, dei quali sette sono maschi e i restanti sette femmine.”
“Vi sono sette individui celibi o nubili (quattro celibi e tre nubili), sei individui coniugati o separati di fatto, e zero individui separati legalmente, oltre a zero divorziati e uno vedovi.”
“A Ponte delle Assi risiedono zero cittadini stranieri o apolidi, zero dei quali sono maschi e zero sono femmine. Sul totale di zero stranieri 0 provengono dall’ Europa, 0 dall’Africa, 0 dall’America, 0 dall’Asia e 0 dall’Oceania.” – una tabella riporta anche questa suddivisione per fasce d’età: 0 tra gli 0 e i 29 anni, 0 tra i 30 e i 54, 0 con più di 54 anni. Non è incredibile tutto ciò?
“Livelli di scolarizzazione a Ponte delle Assi
Vi sono a Ponte delle Assi dodici individui in età scolare, cinque dei quali maschi e sette femmine.”
“Vi sono a Ponte delle Assi 7 residenti di età pari a 15 anni o più. Di questi 7 risultano occupati e 0 precedentemente occupati ma adesso disoccupati e in cerca di nuova occupazione. Il totale dei maschi residenti di età pari a 15 anni o più è di 3 individui, dei quali 3 occupati e 0 precedentemente occupati ma adesso disoccupati e in cerca di nuova occupazione. Il totale delle femmine residenti di età pari a 15 anni o più è di 4 unità delle quali 4 sono occupate e 0 sono state precedentemente occupate ma adesso sono disoccupate e in cerca di nuova occupazione.”
“Delle 5 famiglie residenti a Ponte delle Assi 0 vivono in alloggi in affitto, 3 abitano in case di loro proprietà e 2 occupano abitazioni ad altro titolo.”
“Sono presenti a Ponte delle Assi complessivamente 16 edifici, dei quali solo 16 utilizzati.” (Questa è clamorosa). “Di questi ultimi 4 sono adibiti a edilizia residenziale, 12 sono invece destinati a uso produttivo, commerciale o altro. Dei 4 edifici adibiti a edilizia residenziale 4 edifici sono stati costruiti in muratura portante, 0 in cemento armato e 0 utilizzando altri materiali, quali acciao, legno o altro. Degli edifici costruiti a scopo residenziale 4 sono in ottimo stato, 0 sono in buono stato, 0 sono in uno stato mediocre e 0 in uno stato pessimo.”
“Nella frazione di Ponte delle Assi non sono presenti banche e farmacie”.
Quanto fa ridere il sogno neoliberale di poter trasformare tutto in bigdata accumulabili sulla rete? Eppure, proprio lì dietro, stava il KitKat Festival, germogliava all’ombra dei numeri, suonava un gran rock’n’roll finito con una battle hip-hop, proprio la sera prima che il festival si trasferisse al kebabbello.
Avete presente quei momenti in cui vi dite: ‘Basta, mollo tutto e me ne vado’? Ecco, a Nicola è capitata più o meno la stessa cosa, ma, a differenza di tanti quaquaraqua, l’ha fatto davvero.
Dopo averlo seguito per 3 live di seguito durante il suo tour italiano, Baby Lemonade ha deciso di intervistare l’idolo dell’egg punk tedesco, George a.k.a. EGG IDIOT.
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